Libri su Giovanni Papini

1967


Carlo Bo

La religione di Serra

Capitolo:
La conversione di Papini, pp. 440-443
431-432-433-434-435-436-437-438-439-(440
441-442-443)-444-445-446-447-348-349-350



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«Chi vive cambia» rispondeva Papini a chi lo accusava di essere una banderuola. Glielo avevano detto mille volte, quando era diventato pragmatista, quando era passato al futurismo, quando predicava l’anarchia, insomma tutte le volte che si verificava un mutamento di rotta: a maggior ragione il rumore diventò generale, quando si seppe della clamorosa conversione al cattolicesimo. Ora quello sarebbe stato il momento giusto per dare una risposta piena, che fosse davvero una chiave del cuore, o, anche, per tentare un autoritratto fresco e sicuro, fissando un centro alla sua storia ma dopo averci pensato a lungo, dopo aver scritto a dirittura un vero e proprio libro (La seconda nascita che pubblica il Vallecchi) Papini non ne fece nulla: chiuse nel cassetto il manoscritto e nessuno degli amici ricorda d’avergliene sentito parlare.
   Forse quando diceva «chi vive cambia» sapeva benissimo che per conto suo la sentenza aveva un valore relativo: Papini non poteva cambiare e il resto della sua vita (quasi quarant’anni) ha confermato in pieno questa verità. Naturalmente erano mutati gli abiti, le regole quotidiane: non più bestemmie, non più irrisioni ma tutti sanno che quelle bestemmie e quei giuochi da caffè non avevano mai avuto un peso determinante. Tutt’al più erano luci della sua inquietudine, dei suoi malumori, ciò che Papini segretamente inseguiva era soltanto la pace e infatti la sua conversione


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segna l’avvento della pacificazione. Di più non direi.
   Papini ha sempre giuocato la vita su due registri completamente diversi, dal fortissimo al piano, al sottovoce, ignorando il moderato: che era poi un modo di non compromettersi su una vera scelta, l’unico per non toccare il tono della convinzione. Anzi, le intemperanze, le esagerazioni derivavano dalla mancanza di equilibrio, dal non sapere bene ciò che voleva o anche dall’aver paura di chiudersi in una verità. Anche allora, al tempo de La seconda nascita, preferì lasciare in ombra la parte solida della conquista religiosa e partire per un’ennesima scorribanda polemica. Il «convertito» a poco a poco cancellò la figura del credente ed è curioso notare come perfino le confessioni diventassero sulle sue labbra proteste, ribellioni, mai sentimenti concreti ed attivi.
   Lo scrittore arrivò alla fine della guerra dopo aver fatto il giro d’ogni possibile esperienza ma erano sempre esperienze provvisorie, fra l’entusiasmo e la noia, fra l’esaltazione e la stanchezza. Nulla di strano quindi se allora riprese fortissimo il coro «Perché si è convertito»? «Quali sono stati i termini e i passaggi della metamorfosi?» Sono domande che non hanno mai avuto risposta, a cui lo stesso Papini, del resto, ha dato un credito limitato. In parole povere, non ci fu un tempo di meditazione, di deposito che desse frutti visibili: Papini uscì dalla casa del diavolo (oh! un diavolo domestico che sedeva ai tavoli delle «Giubbe rosse» fra Soffici e Prezzolini e faceva l’occhiolino al cameriere Cesare) ed entrò in chiesa di corsa, per di più con l’aria di saperla così lunga da poter parlare direttamente con Dio e magari insegnare qualcosa agli altri, a chi da anni batteva in silenzio la strada della regola e dell’obbedienza. Questo brusco passaggio dall’indifferenza alla libera predicazione non gli ha consentito di tracciare un itinerario


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spirituale preciso, naturale, senza amplificazioni rettoriche.
   È però vero che Papini avvertì la necessità di dare, se non delle giustificazioni, almeno delle indicazioni che ci aiutassero a colmare quel vuoto, a segnare il cammino del ritorno alla fede: quel documento umano che gli sarebbe stato facile ottenere con un minimo di pazienza e sarebbe rimasto unico nella nostra letteratura. Purtroppo la Seconda nascita è soltanto un bel tentativo andato a male; quella che avrebbe dovuto essere una confessione palpitante si risolve quasi sempre in un discorso di grosse ambizioni letterarie e con troppe cadute di gusto.
   Nell’inseguire, attraverso la storia della vita passata, i segni della sua naturale disposizione al cristianesimo, Papini cadde in una curiosa imboscata del suo temperamento, per cui gli occhi dei lettori non riconoscono più lo spirito spregiudicato, il peccatore contro lo spirito ma intravvedono quello che in fondo in fondo era l’uomo, la «pasta» del buon borghese fiorentino, uno di quei buoni toscani dell’Ottocento che nell’ambito del bozzetto avevano ricavato il loro piccolo monumento, il loro busto.
   Deve essere stato anche per Papini un triste risveglio fra la cinta delle mura che al tempo dei donchisciottismi si era illuso d’aver buttato giù a forza di proteste e di parole.
   Probabilmente Papini capì allora che cosa non era la vita (ce lo dice nel più bel capitolo del libro, Noi sappiamo) che le parole non servono, che la letteratura senza radici è vanità ma non seppe far seguire ai propositi un vero riscatto. Per qualche anno tacque o misurò le parole, poi il registro del «grande scrittore» riprese il sopravvento e il vizio delle esercitazioni rettoriche a largo raggio non lo lasciò più.
   Ma torniamo alla conversione. Caduto l’armamentario


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dell’intellettuale, il quadro spirituale in cui si trovò a vivere risultò semplicissimo: la casa, la chiesa, la famiglia, la natura. La Seconda nascita è al riguardo un catalogo completo delle cose nuove e antiche del Papini convertito ma purtroppo è un catalogo morto. Le ragioni che hanno permesso il mutamento di scena non ci sono mai date, perché Papini era affascinato dal colore e dal suono delle cose, illudendosi — chissà — di proteggere il sentimento geloso, il pudore del cuore, a costo di ricorrere al rumore, alla polemica, ai peggiori movimenti del suo carattere. Abituato per troppi anni a chieder banco, alla fine non seppe più resistere e si mise a predicare. Fu allora che definitivamente perse l’occasione di diventare uno scrittore religioso di nutrire la sua anima, ricascando nella trappola della più stanca delle letterature. Nessuno può entrare nel vero territorio della sua anima, purtroppo tutti possono registrare che il passaggio dello scrittore nel mondo della «seconda nascita» non ha dato grandi frutti, soprattutto non ha segnato un mutamento, soltanto una ripetizione mascherata di incertezze, di timori, di ingiustificate perplessità. Un po’ più di pazienza e oggi potremmo ricordare Papini in ben altro modo, con la partecipazione del cuore, non soltanto con la pietà della memoria.

     14 febbraio 1959.


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